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0570 Storia della Spedizione Scientifica Italiana nel Himàlaia, Caracorùm e Turchestàn Cinese(1913-1914) : vol.1
History of an Italian Science Expedition to Himalayas, Kharakhorum and Chinese Turkistan(1913-1914) : vol.1
Storia della Spedizione Scientifica Italiana nel Himàlaia, Caracorùm e Turchestàn Cinese(1913-1914) : vol.1 / Page 570 (Grayscale High Resolution Image)

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doi: 10.20676/00000174
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486   CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Khargalik è appunto sede di un amban, e vi sperimentiamo per la prima volta la cerimoniosa etichetta cinese. Il giorno stesso del nostro arrivo, dopo scambiate le carte da visita, liberatici dalla polvere del viaggio, rimontiamo a cavallo per la visita ufficiale al rappresentante del Governo cinese.

Dopo traversata buona parte del bazar, perveniamo all' entrata della residenza, sormontata da un tetto a pagoda, che mette in un grande cortile, dove veniamo accolti da una triplice salva di mortaretti. Un edificio basso, colle mura coperte di enormi draghi dipinti, simboli residui della dinastia manciù, mezzo nascosti da brutti affissi di carta rossa, ha nel centro grandi porte di legno, con su dipinte figure cinesi alte tre volte il vero, che si aprono per dare accesso ad un secondo cortile, dove ci riceve l' amban, un bell' uomo alto e snello, circondato dai suoi principali funzionari. Sono vestiti alla cinese, salvo un bruttissimo cappello a cencio europeo, che non si possono levare, perchè v' è sotto avvoltolato il codino, che non è ortodosso nella nuova repubblica. Sui lati di entrambe le corti, aperture rotonde, ottagonali, a ferro di cavallo, conducono ad altri spazi aperti con file d' alberi. Sembra una costruzione a quinte e scenari, con padiglioni aperti e gallerie e poche vere camere. Il ricevimento ha luogo in una stanzetta con sedie di legno tornito attorno a un tavolino per i dolci e il thè. Nel poco spazio libero si pigia una piccola folla di gente che assiste alla conversazione fatta attraverso a due interpreti ; uno di lingua turca, l' altro di cinese. L' amban non sa, o non ci vuol dire alcuna notizia della guerra.

Ci congediamo, salutati alla partenza da altri spari, e ce ne torniamo a piedi per il bazar, seguiti a distanza rispettosa da un codazzo di curiosi. La gente seduta davanti o dentro le botteghe si alza in piedi al nostro passaggio. Il bazar è del solito tipo che si ritrova in tutte le città dei due Turchestàn, più o meno grande e ricco secondo la loro importanza. Questo, di Khargalik, è modesto e si riduce a poche strade senza lastrico, ma annaffiate di frequente e riparate dal sole con pergolati su cui sono distese delle stuoie o le frasche di piante rampicanti. Di qua e di là sono le botteghe con ogni sorta di merce, che si alternano coi barbieri e colle numerose trattorie indigene e cinesi ; di quando in quando per una porta o un Andito si scorge il cortile di un serai, dove sono gli alloggi per i mercanti venuti di fuori e i magazzini per le loro merci. Altre strade si stendono lungo fossi pieni d' acqua, colle sponde alberate. Sciami di mosche e di vespe, stormi di piccioni e di passeri, vitelli, pecore, asinelli e cani vaganti si mescolano al brusio della folla, e ci par una grande novità la vista di due carrozzelle coperte tirate da un cavallo. Ci fa stupire, come già Marco Polo (1), il grandissimo numero di gozzuti. Molti anche hanno la faccia butterata da vaiolo. Le donne circolano liberamente fra la folla, a viso scoperto, ma scappano appena scorgono noi, infedeli, o si nascondono, o calano sul viso il gran velo bianco fissato al capo da un berrettino rotondo puntuto. Nè gli uomini nè le

(1) Vedi il Polo del YULE, 2'' Ed. Vol. I, pag. 159.