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0566 Storia della Spedizione Scientifica Italiana nel Himàlaia, Caracorùm e Turchestàn Cinese(1913-1914) : vol.1
History of an Italian Science Expedition to Himalayas, Kharakhorum and Chinese Turkistan(1913-1914) : vol.1
Storia della Spedizione Scientifica Italiana nel Himàlaia, Caracorùm e Turchestàn Cinese(1913-1914) : vol.1 / Page 566 (Color Image)

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doi: 10.20676/00000174
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482   CAPITOLO DICIASSETTESIMO

d' acqua e campi di granturco e di canapa, e, dopo un altro breve tratto di deserto sabbioso, arriviamo a Cök Iar, un grosso borgo con case ben costrutte e qualche bottega, il primo paese di una certa importanza che incontriamo dopo essere usciti dai monti.

Cök Iar è posto quasi sul limitare della grande pianura ; a Nord di esso si stendono ancora per un tratto le ultime propaggini dei contrafforti che formano i fianchi della valle, allontanandosi una dall' altra, e perdendosi gradatamente nel piano. La via si stende accanto al gran letto pietroso e vuoto del fiume, una traccia larga otto, dieci metri, popolata da greggi di pecore e agnellini, che vengono condotti a nuovi pascoli, e da numerosi viandanti che spingono dinanzi a sè asinelli carichi. Attorno è il deserto di sabbie gialle, cosparso di ciottoli e di pietre, e da tutto il piano si alzano vortici di polvere, taluni altissimi, altri intermedii, o di pochi metri, densi e opachi o quasi trasparenti, che ruotano rapidissimi o lentamente. Ne noto uno che gira alternativamente in un senso o nell' altro. A questo modo probabilmente la fina polvere è portata a grandi altezze nell' atmosfera, e vi rimane poi sospesa come un velo.

Quando il sole è a metà delle sua ascensione, incominciano i miraggi, e le masse verdi di oasi intraviste verso Oriente, con alti alberi, prendono l' aspetto di città con grandi edifizi, torri e campanili. Una bassa linea scura, come un banco dì fumo, che si estende dinanzi a noi, si rivela a poco a poco come lo scaglione di un terrazzo piano. Vi entra il letto del fiume, ed all' ingresso della valletta così formata, è una piccola macchia di pioppi e di salici, con un gruppo di alti alberi, che hanno dato al luogo il nome di Besh Terèk ; i cinque platani. Accanto ad essi è il serai e una pozzanghera d' acqua salmastra, piena di alghe e di muffe. Una sorgente non lontana dà acqua limpida, ma anche più salsa. Qui passiamo una notte piena di latrati e di risse di cani, di ragli d' asini e di conversazioni interminabili di gente. Da che siamo entrati in Asia Centrale, non abbiamo più sentito un canto, o un suono di strumento musicale ; questa gente ha un' indole seria, un po' solenne e apatica, del tutto diversa dalla gaia spensieratezza dei Balti e dei Ladachi, amanti di musiche e di danze.

Fra Besh Terèk e Khargalìk sono circa 30 km. di strada. Li percorriamo il 24 settembre. Rasul Galwan s' è addobbato per presentarsi con decoro alla città. Ha messo da parte il berretto ladaco di pelliccia, sostituendolo con un bel turbante di seta azzurra, e ha indossato un khalat (vestaglia di cerimonia) turchino.

Quasi tutta la via è per un deserto piano, senza dune, con suolo abbastanza compatto di argilla mista a molti sassi. Di quando in quando si traversano piccole oasi, con qualche casetta di contadini, e infine ci troviamo in un bel viale di gelsi, platani, salci e giùggioli, fra campi di canape, granturco, var? cereali, zucche, cocomeri e meloni. Vediamo stuoli di gente intenta al gravoso lavoro di abbassare il livello di larghi tratti di terreno, togliendone un buon strato di terra per poterli irrigare e coltivare. È una lotta continua contro 1' acqua dei fiumi che, dove dilaga, deposita il sedimento ed eleva il suolo, mentre approfonda i propri letti scavando